E un giorno mi svegliai, di Francesco Toscano. Capitolo terzo - prima parte.

21 ottobre 2012

CAPITOLO 3

La cattura e la deportazione in un pianeta della Costellazione del Centauro. Alfa Centauri[1] e il pianeta gemello della Terra.

“PROXIMA Centauri è la stella più vicina a noi. Alla velocità della luce, un’astronave impiegherebbe poco più di quattro anni per raggiungerla. Una volta giunti a destinazione, cosa troverebbero i passeggeri di questa ipotetica nave spaziale? Viaggiando nei pressi di Proxima, i nostri esploratori vedrebbero una debolissima nana rossa grande circa un decimo del Sole. Una piccola delusione, forse. Ma guardando più in là, ecco spuntare una coppia di stelle brillanti molto simili al nostro Sole. Sono Alfa Centauri, una delle stelle più brillanti del cielo australe, e la sua compagna Alfa Centauri B. Per raggiungere queste stelle l’astronave dovrebbe viaggiare almeno altri due mesi, ma la ricompensa per questo lungo viaggio sarebbe grandiosa. Guardando attentamente Alfa Centauri B, magari con l’aiuto di speciali filtri, gli astronauti vedrebbero un piccolo puntino luminoso vicinissimo alla stella. A soli sei milioni di chilometri dalla stella, un piccolo pianeta che compie un’orbita in soli tre giorni. Un’orbita così stretta da rendere il pianeta incandescente e probabilmente inospitale. E’ un’avventura fantascientifica che sembra pura fantasia, a parte un dettaglio. Quel pianeta esiste davvero, ed è molto simile alla Terra.[2]
Pensai che stessi sognando e che l’incubo[3], in cui il mio inconscio mi aveva fatto precipitare nel corso delle ore notturne, prima o poi si sarebbe allontanato da me facendomi riposare serenamente. Non era un incubo, né era il frutto di uno stato psicofisico riconducibile a una cattiva digestione. Stavo vivendo un’esperienza al di fuori del comune, un’esperienza paranormale che in pochi sulla Terra hanno vissuto.
Questo sparuto numero di esseri umani segnati da un’esperienza tanto traumatica, non ci crederete, si considerano dei prescelti, degli eletti, adducendo di far parte di quel venticinque per cento[4] del genere umano dotato di Anima[5].
Qualcuno o qualcosa, però, mi svegliò, facendomi prendere subito coscienza del fatto che non si trattava di un sogno ma di pura e cruda realtà.
Un gigantesco rettile, verosimilmente una delle tante creature aliene che popolavano l’astronave su cui mi trovavo, creatura descritta da molti ufologi sulla Terra come appartenente alle specie aliena dei Rettiliani[6], alto circa tre metri, mi prese dai piedi e, dopo avermi tirato con forza dal cilindro in cui mi trovavo rannicchiato, mi trascinò via come un verme, facendomi mangiare la polvere presente sul pavimento dell’astronave dei Malachim.
Ero caduto dalla padella nella brace.
Dallo shock che quell’orrenda bestia mi aveva causato, persi i sensi.
Mi risvegliai.
Il sauriano continuava a trascinarmi lungo un corridoio di un velivolo spaziale del tutto diverso rispetto a quello in cui mi trovavo quando i Malachim, a servizio degli Anunnaki, mi condussero dopo il mio rapimento.
Era un essere gigantesco, mostruoso, repellente, una sorta di drago di Komodo[7] , ma a differenza di quest’ultimo camminava in posizione eretta e molto, molto, più intelligente e temibile.
Prima di svenire per l’ennesima volta dalla paura, metabolizzai l’idea che era giunta la mia ora e che avrei fatto una morte orribile fra le fauci di quell’orribile mostro.
Mi svegliai ancora una volta.
Mi ritrovai rinchiuso all’interno di una prigione che, a differenza di quelle presenti sulla Terra, non era circondata da grate metalliche tese a impedire al prigioniero di fuggire, ma da un reticolo di campi di forza elettromagnetica che impedivano a chiunque di tentare la fuga, provocando allo stolto che vi avesse provato la morte istantaneamente.
In quella prigione non c’ero solo io, ma un altro centinaio di esseri umani che come me avevano avuto la sfortuna di incappare in una delle specie aliene più crudele che abita il nostro stesso sistema solare.
Un uomo, seduto per terra a pochi centimetri dal luogo in cui anch’io mi trovavo, si teneva la testa con le mani, quasi a voler comprendere meglio quell’esperienza traumatica che aveva vissuto.
Tutti, o quasi tutti, se ne rimanevano lì, immobili, e in religioso silenzio, forse per paura di attrarre l’attenzione dei sauriani, alcuni dei quali erano fuori la “gabbia ipertecnologica” di sentinella; o forse perché ci trovavamo in una nuova Babele dove nessuno capiva nessuno, tenuto conto che riuscivamo a esprimerci solo nelle lingue dei nostri paesi di origine o, i più fortunati che avevano studiato o che avevano avuto la fortuna di nascere nei paesi anglosassoni o latino americani, in Inglese o in Spagnolo.
I sauriani, discutevano alcuni dei prigionieri in spagnolo, che si trovavano a circa tre metri da me, ci avevano deportato in un pianeta del sistema solare di Alfa Centauri B, stella molto simile al nostro Sole ma leggermente più piccola e debole.
Il pianeta, a loro dire, aveva una massa poco più grande di quella della Terra, e orbitava a circa sei milioni di chilometri dalla sua stella, molto più vicino di quanto sia Mercurio al Sole nel Sistema Solare.
Capii solo allora perché vi era tanto caldo in quella maledetta prigione.
Faceva così caldo che, a confronto, le fiamme dell’Inferno erano delle carezze di un bambino.
Se quel pianeta era così vicino alla sua stella come mai i sauriani ci avevano deportato proprio lì? Nessuno di noi era in grado di dirlo. Qualcuno elaborò una sua tesi, ma era soltanto una mera supposizione senza alcun fondamento scientifico.
L’unica cosa certa, e che tutti noi sapevamo, era che la Terra si trovava a circa 4,7 anni luce da noi e che era impossibile, considerato il “campo di prigionia” dove ci trovavamo, riabbracciare i nostri cari. L’uomo che era seduto per terra a pochi centimetri da me, alla mia sinistra, mi disse: «What is your name?»
«Which area of the Earth come from?»
Risposi: «Scusa, ma non ti capisco.»
Vi era alla mia destra, a circa un metro da me, un piccolo uomo, esile, segnato nel fisico dall’esperienza traumatica vissuta, proprio come gli altri poveri esseri umani prigionieri dei sauriani che, avendo ascoltato involontariamente la discussione, s’intromise dicendomi: «Vuole sapere come ti chiami e da dove vieni.»
Io risposi a entrambi: «Mi chiamo Salvatore, vengo da Palermo, la capitale della Sicilia, in Italia.»
L’Inglese seduto alla mia sinistra non capì e l’uomo alla mia destra, che si era intromesso nella discussione fungendo da interprete, gli disse quello che voleva sapere.
Ritornammo a restare in silenzio. Che assurdità! Lontani milioni di chilometri dalla Terra, in un pianeta ostile, prigionieri di alcuni extraterrestri violenti e crudeli, e non essere in grado di comunicare fra di noi per la diversità delle nostre lingue, delle nostre culture, dei modi e degli stili di vita che avevano pesantemente condizionato sul nostro pianeta le nostre umili vite.

Come bestie.


In quella gabbia che ci costringeva a condividere la nostra umanità eravamo stipati come tante bestie destinate al macello. L’aria era irrespirabile e il puzzo di piscio e di merda ci mandava in tilt le cellule olfattive; la nostra umanità era ridotta ai minimi termini. Qualcuno dei prigionieri chiedeva dell’acqua, qualcun altro chiedeva del cibo, io, malgrado avessi avuto bisogno di tutto ciò, non parlai, rimasi in silenzio, e piansi come un bambino in fasce.
L’uomo alla mia destra nel vedermi piangere mi disse di farmi coraggio e di resistere, convinto che, a differenza sua, avessi una tempra più forte. Aveva ragione; non passarono neanche poche ore che esalò l’ultimo respiro.
Una sfera metallica allora, che sorvegliava gli umani prigionieri, volò verso il cadavere di quell’uomo e dopo aver scandito il suo corpo con un raggio laser, gli conficcò una sonda in corpo che gli prelevò quello che restava del suo sistema linfatico. Ben presto il cadavere fu prosciugato e divenne una specie di buccia di limone spremuta. Da una porta, invisibile a occhio nudo, che si aprì a breve distanza nella parete frontale, entrò uno dei tanti sauriani che popolavano quella nave spaziale. Si caricò il cadavere di peso sulle spalle e lo portò via.
Ebbi compassione di quel povero Cristo di cui non seppi mai il nome, che mi aveva aiutato, se così si può dire, a relazionarmi con i miei stessi simili detenuti in quell’Inferno che sembrava essere stato creato ad hoc per la specie umana.
Una donna, a circa venti metri da me, bionda, alta circa un metro e settanta, corporatura normale, di circa vent’anni, si alzò allora di scatto e si scaraventò con le ultime energie che le erano rimaste in corpo contro il campo di forza che chiudeva l’apertura della nostra gabbia, controllata dai due sauroidi che erano posti a breve distanza da quell’apertura in qualità di sentinelle.
L’onda d’urto, opposta alla forza che quella poveretta era riuscita a trovare dentro di sé, la scaraventò contro la parete opposta. Dopo alcuni spasmi di dolore atroce, esalò l’ultimo respiro.
Un’altra sfera metallica allora, che presumibilmente controllava la zona in cui la donna giaceva esanime, si avvicinò al suo cadavere e riprese quella macabra procedura di scansione dell’essere umano tesa a costatarne il decesso. Pochi secondi dopo si aprì un altro varco dalla parete posta a breve distanza da lei. Entrò un altro sauroide.
La bestia famelica, a differenza dell’altro suo simile, non prese il cadavere della donna e se lo caricò in spalla, ma lo squartò come fosse stato un pollo allo spiedo appena cotto, divorandolo senza alcun ritegno e denotando un processo d’involuzione della sua specie rispetto ad altre entità da me conosciute in quel viaggio paranormale.
Vomitai anche l’anima nell’osservare quella scena disgustosa e lugubre. Feci spallucce e mi rannicchiai su me stesso quasi volessi scomparire da quel luogo.
Tra gli odori nauseabondi che emanavano i nostri escrementi e l’odore del mio stesso vomito non sapevo proprio che posizione scegliere per mettermi a mio agio.

Non c’era verso di stare in piedi perché le macchine ci costringevano a stare sul pavimento, forse perché erano state programmate per farci scoppiare il cuore nel più breve tempo possibile; forse era quella la nostra pena da espiare in quell’Inferno dantesco che i sauriani avevano realizzato per noi, poveri esseri viventi che sarebbero dovuti essere calpestati come tanti insetti nocivi.

La mia vita appesa ad un filo.


Quello che non riuscivo a capire degli eventi traumatici in cui rimasi coinvolto e verificatisi negli ultimi giorni della mia prigionia, era indissolubilmente legato al seguente quesito: «Perché i sauriani ci avevano fatto loro prigionieri?»
Non capivo, in particolare, come avessero annientato la specie aliena che per prima aveva ordito il mio rapimento e quello, pensai, di tutti gli altri sventurati che come me si trovavano in quella lurida gabbia.
Feci mille supposizioni, sebbene il mio stato psicofisico non mi permettesse per niente di avviare questi processi mentali, che il mio cervello contro la mia volontà, in un momento di maggior lucidità, era riuscito tuttavia a elaborare.
Sicuramente quelle sottospecie di lucertoloni, pensai, dovevano aver fatto esplodere la nave spaziale dei Malachim e, dopo averli sterminati tutti, erano riusciti a impossessarsi di quel succulento bottino che gli umani rappresentavano per loro e di cui la nave spaziale dei Malachim disponeva.
Mi chiesi se fosse stato un caso, oppure era consuetudine dei sauriani attaccare le navi spaziali dei Malachim e i loro potenti signori alla ricerca di cibo.
Pensai che quei maledetti fossero avvezzi ad attaccare le navi spaziali dei Malachim, non fosse altro che, come io avevo avuto modo di notare, era ricca di cibo, benché sottovetro. Una sorta di supermercato dell’orrore in cui fare incetta di carne macellata a buon prezzo.
Non avendo elementi di riscontro non potevo che fare solo supposizioni fini a se stesse.
La stanchezza e la crudeltà degli accadimenti cui ero stato testimone avevano pian piano esaurito le ultime energie che il mio corpo possedeva. Mi addormentai, nonostante tutto, precipitando in uno stato di pre-morte. Il mio battito cardiaco era man mano scemato sino a diventare totalmente assente.
Non presentavo più alcuna attività cerebrale (EEG).
Ciononostante, inspiegabilmente, avevo continuato ad avere la percezione visiva e sonora di quello che stava accadendo attorno a me.
Mi ritrovai in un angolo del soffitto della prigione e guardavo, non sono in grado di dirvi come e perché, tutta la scena che si svolgeva al suo interno. Il mio corpo immobile era riverso prono sul pavimento. Gli altri miei simili guardavano con pietà il mio povero corpo, supponendo che da lì a poco fosse stato digerito da quei mostri dei nostri carcerieri. La sofferenza che attanagliava tutte le mie membra era svanita quasi per magia.
Avvertivo una piacevole sensazione di calore che avvolgeva il mio spirito, e un grande senso di pace.
Mi dispiacque, pur tuttavia, vedere che la sonda robotizzata dei sauriani si era avvicinata al mio corpo esanime, a tutta velocità, così come aveva fatto in precedenza quando qualcuno dei miei simili era deceduto ed era diventato un ottimo spuntino per quelle malefiche bestie dei sauriani.
Non mi preoccupai più di tanto, consapevole che la mia ora era arrivata e che, tutto sommato, potevo ritenermi felice della vita vissuta sino al giorno antecedente al mio rapimento.
Mi ritrovai, non so dirvi come, di fronte ad un tunnel alla fine del quale vi era una luce splendente, o qualcosa di simile. Udii un sibilo, o una specie di vibrazione elettrica, o un ronzio, non sono in grado di dirvi con esattezza che cosa fosse realmente, mentre mi accingevo a varcare “quel portale” ed entrare, spinto da una forza soprannaturale, in una nuova sfaccettatura della realtà o dell’essere.
Varcato il tunnel, incontrai degli “esseri” dotati di corpi luminosi ed eterei, che brillavano di una luce abbacinante; la luce saturava tutto l’ambiente in cui mi trovavo. Fui inondato allora di un sentimento d’amore immenso, proveniente da quella luce irradiata da quegli strani “esseri”, mai provato prima sulla Terra o su gli altri pianeti in cui fui condotto nel corso del mio rapimento da parte degli alieni.
Mi sembrò allora che sia la luce sia l’amore che infondevano quegli esseri fossero la stessa identica cosa.
Anch’io, così come avevano fatto i Malachim con me durante il mio rapimento, fui in grado di relazionarmi con quegli esseri di luce telepaticamente, comprendendoli immediatamente.
In quei frangenti mi sembrò di rivivere e rivedere le azioni buone e cattive compiute fino a quel momento, percependo immediatamente l’effetto che esse avevano procurato al mio prossimo.
Al mio fianco, mentre rivedevo la mia vita come riprodotta in un film, vi era un “essere” di luce che mi poneva delle domande tese ad aiutarmi a ricordare gli eventi della mia breve esistenza.
Quell’“essere” di luce rilevò allora che, oltre all’amore, una delle cose che si può portare con sé al momento della morte è la conoscenza.
Solo allora, non sono in grado di dirvi come e soprattutto perché, il mio spirito ritornò indietro andandosi a ristabilire all’interno del mio corpo; mi parve di aver attraversato un cunicolo spazio-temporale nell’effettuare quel viaggio come se la realtà da me vissuta e quella che la morte mi offriva di vivere facessero parte di due mondi agli antipodi.
Il dolore che attanagliava il mio corpo divampò in tutta la sua inaudita potenza. Non c’era un muscolo del mio corpo che non mi facesse male. Non c’era una cellula del mio organismo che non avesse sofferto maledettamente quella situazione in cui mi ero venuto a trovare.
Mi accorsi che il robot dei sauriani continuava a irradiarmi quel suo raggio verdastro che cercava di scandire il mio corpo alla ricerca di quell’energia divina che gli alieni conoscevano bene e di cui sapevano sfruttarne una delle sue caratteristiche peculiari: quella di ridare la vita a un essere che se ne era privato.

Nella stanza della macchina per rigenerare il corpo ed attivare Anima.

La sonda robotizzata continuava a sondare il mio corpo. Aprii gli occhi. Nel vedere quel robot a pochi centimetri del mio volto, che continuava a scandire le mie membra alla ricerca di vita, ebbi paura e svenni.
Mi risvegliai poco tempo dopo all’interno di una macchina a forma di cilindro, della stessa specie di quella utilizzata dai Malachim.
Qualcuno o qualcosa mi ci aveva condotto, togliendomi dalla gabbia che imprigionava sia il mio corpo sia il mio spirito, dove erano rimasti gli altri miei simili in attesa di una morte certa.
Mi resi conto anche di non essere più sporco e che il mio fisico era stato ripulito dai miei escrementi. Mi avevano abbigliato con una veste bianca, trasparente, che si modellava perfettamente al mio corpo.
Una luce pervase allora il mio corpo che vibrava intensamente, come se fosse stato bombardato da miliardi di raggi a elevata energia.
Avendo già sperimentato quella situazione non ebbi paura e cercai di capire meglio che cosa mi potesse accadere, anche tenuto conto che il mio fisico sembrava, stranamente, essere stato rigenerato.
Le vibrazioni a bassa frequenza che quella macchina continuava a emettere riuscirono a far staccare dal mio corpo la mia Anima.
Ebbi la sensazione di essere “una matrice di punti” che spaziava in tutte le direzioni dello spazio e del tempo; che il mio corpo non fosse altro che un mero contenitore utilizzato da quest’atavica forma di energia, propagatasi anche in altre parti dell’Universo, e che sicuramente era a conoscenza di tutto.
Pensai che Anima fosse a conoscenza di tutte le cose che mi sarebbero accadute, e di quello che mi successe.
Pur tuttavia, ebbi la consapevolezza che Anima non si era ribellata a quella forzatura che gli alieni stavano ponendo in essere.
Anima, pensai, era legata indissolubilmente al mio DNA e alla mia struttura molecolare e che ben presto ci avrebbe fatto ritorno.
Una tal energia, pensai, doveva essere in contatto con quel Dio Creatore che ogni uomo cerca sin dalla nascita, inconsapevolmente proiettato verso quel progetto Divino che il “Grande Architetto”, che ha originato l’Universo oggi conosciuto, e di cui sia noi che gli alieni facciamo parte, aveva sin dall’inizio disegnato.
Anima, notai, fu proiettata attraverso un elaborato sistema tecnologico all’interno di un altro cilindro, dove si trovava un altro corpo, verosimilmente appartenente a un altro essere vivente.
Presi coscienza e mi ritrovai dentro un corpo di un sauroide che era stato messo lì in attesa di essere rigenerato.
Provai una strana sensazione di potenza e di sconcerto allo stesso tempo.
Non ero più un essere umano ma uno di quei mostri famelici. La mia pelle era squamosa e il mio cervello elaborava pensieri malvagi e ostili verso la specie umana.
Mi sembrò la cosa più naturale al mondo quella di mangiare un mio simile; anzi la cosa mi sembrava non solo corretta ma necessaria alla mia sopravvivenza.
La carne umana mi parse che fosse un delizioso bocconcino, una prelibatezza, che era stata conquistata dai miei simili dopo varie e aspre battaglie.
Pochi secondi dopo Anima, forse ripudiando quel corpo da lucertola, rientrò all’interno del mio corpo umano.
Persi i sensi.





[1] Alfa Centauri è una delle stelle più brillanti nel cielo australe e il sistema stellare più vicino al nostro Sistema Solare - a solo 4,3 anni luce di distanza. In realtà è una stella tripla: un sistema costituito da due stelle simili al Sole in orbita stretta l'una intorno all'altra, Alfa Centauri A e B, e da una stella rossa più distante e debole nota come Proxima Centauri. Fin dal diciannovesimo secolo gli astronomi hanno speculato sull'esistenza di pianeti in orbita intorno a questi corpi celesti, le più vicine dimore possibili per la vita al di là del Sistema Solare, ma ricerche di precisione sempre crescente non avevano rivelato nulla. Fino ad ora.
[2] Tratto da http://www.repubblica.it/scienze/ .
[3] L'incubo è un tipo di sogno che si presenta in modo angosciante e a volte è accompagnato da una sensazione di  oppressione al petto e/o da difficoltà respiratorie. È a tutti gli effetti un disturbo del sonno ed è considerato una parasomnia relativa al sonno REM. Gli incubi si mostrano con rapidi movimenti oculari (REM significa, appunto, Rapid Eye Movement), senza altri movimenti del soggetto. Eventuali movimenti involontari del corpo possono svegliare il dormiente, interrompendo così la sensazione di paura insita negli incubi. L'individuo svegliatosi da incubo tende a non riaddormentarsi, temendo, più o meno inconsciamente, di rivivere la brutta esperienza. Gli incubi sono più frequenti tra i 4 e i 12 anni di età, tendendo poi a diminuire con l'età. Fino al XVIII secolo, gli incubi erano considerati causati da stregonerie con le creature malefiche che si appoggiavano al petto del dormiente (infatti, la traduzione in spagnolo, pesadilla, prendeva il nome dal peso esercitato). Tra il XIX e il XX secolo, invece, si tendeva a dare la colpa alla cattiva digestione. Oggi sappiamo che essi sono provocati da agenti fisiologici, come febbre alta, oppure psicologici, come ansia e stress.
[4] Alcuni addotti, cioè degli esseri umani che dichiarano di essere stati rapiti dagli alieni, hanno dichiarato pubblicamente di far parte di uno sparuto numero di esseri umani che vivono sul pianeta Terra, il venticinque per cento circa della popolazione umana residente, dotati di Anima, questa forma di energia spirituale ed ancestrale di cui gli alieni, parrebbe, cercano di sottrarre agli esseri umani per raggiungere l’immortalità.
[5] L'anima (dal latino anima, connesso col greco ànemos, «soffio», «vento»), in molte religioni, tradizioni spirituali e filosofie, è la parte spirituale ed eterna di un essere vivente, comunemente ritenuta indipendente dal corpo, poiché distinta dalla parte fisica. Tipicamente si pensa che consista della coscienza e della personalità di un essere umano, e può essere sinonimo di «spirito», «mente» o «io». Si crede che l'anima continui a vivere dopo la morte fisica della persona, e alcune religioni postulano che sia Dio a creare o generare le anime. In alcune culture, si dice che gli esseri viventi non umani e, talvolta, altri oggetti (come i fiumi) abbiano un'anima, una credenza nota come animismo. I termini «anima» e «spirito» vengono spesso usati come sinonimi, anche se il primo è maggiormente legato al concetto di individualità di una persona. Anche le parole «anima» e «psiche» possono essere considerate come sinonimi, sebbene «psiche» abbia connotazioni relativamente più fisiche, mentre l'anima è collegata più strettamente alla metafisica e alla religione.
[6] Gli uomini rettile o uomini serpente sono creature immaginarie menzionate nella mitologia e nel folclore di varie culture. In epoca contemporanea sono anche presenti nella fantascienza, nell'ufologia e nelle teorie del complotto, che per descriverli usano anche i termini di rettiloide, rettiliano, umanoide rettiliano, dinosauroide, sauriano, uomo lucertola, Homo saurus e popolo lucertola.
[7] Il drago di Komodo (Varanus komodoensis Ouwens, 1912) è una grossa specie di lucertola diffusa nelle isole indonesiane di Komodo,Rinca,Flores, Gili Motang e Gili Dasami. Appartenente alla famiglia dei Varanidi, è la più grossa specie di lucertola vivente, potendo raggiungere in rari casi 3 m di lunghezza e 70 kg circa di peso. Le sue dimensioni inconsuete sono state attribuite al gigantismo insulare, dal momento che nelle isole in cui vive non vi è nessun altro carnivoro a occupare la sua nicchia. Tuttavia, ricerche recenti più accurate suggeriscono che il drago di Komodo sia l'ultimo rappresentante di una popolazione relitta diVaranidi molto grandi che un tempo erano diffusi tra l'Indonesia e l'Australia, la maggior parte dei quali, insieme ad altri rappresentanti della megafauna, si estinse al termine del Pleistocene. Fossili molto simili al V. komodoensis, risalenti a più di 3,8 milioni di anni fa, sono stati rinvenuti in Australia; invece su Flores, una delle poche isole indonesiane in cui sopravvive tuttora, le dimensioni del varano di Komodo sono rimaste invariate negli ultimi 900.000 anni, «un periodo segnato da importanti turnover faunistici, dall'estinzione della megafauna dell'isola e dall'arrivo dei primi ominidi 880.000 anni fa».


3 comments:

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